mercoledì 30 settembre 2015

Un giocattolo di cui furono in tanti a dire pazzesco!!

  
“… Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e cano- scenza” (Dante, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120)                                                                                            

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Sì…! Ne è passata d’acqua sotto i ponti. Chi può, mai, negarlo…!!!                                   
Spesso, più che sporadico, durante l’inverno, dopo aver fatto i miei compiti, andavo a rinchiudermi in una delle cabine balneari di per- tinenza ai Petrucci; e ivi rintanato, ammiravo l’elegante volo dei gab- biani che sospinti dall’impetuoso grecale restavano surplace pronti a sferrare l’attacco all’ingenuo pesciolino travolto dal mare in tempesta.
A parte l’airone, stupendo piumato dall’apertura alare stimabile in cm. 170 e l’albatro con quella sua di tre metri e mezzo, non è da sottova- lutare il gabbiano comune con una lunghezza corporea che va dai 40 ai 60 cm, e un'apertura alare dai 98 ai 105 cm, da me considerato il volatile più affascinante che madre natura abbia potuto creare.
Ed era su questo pennuto che venivano concentrati i miei studi allo scopo di costruire e far decollare un minuscolo aereo senza motore.
Progetto, questo, che dovetti rimandare per circa un quinquennio, cau- sa il mio essere stato accolto in un orfanotrofio Salesiano.

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Fugge irreparabilmente il tempo
… Ne venni fuori, cinque anni dopo, forgiato, tornito, alesato e abile a far suonare la campana, come sostenne don Trazzera, mio maestro, salesiano laico. Con l’aver espresso quel suo pensiero, era chiaro il concetto: io sarei stato in grado di provvedere a me stesso, mentre all’interno di quelle mura erano i salesiani che, alle 12.30 di tutti i giorni, suonata la campana provvedevano a sfamare ben 240 orfani…
… Per l’intera durata di quel lustro, il progetto di far volate un piccolo aereo sospinto dai venti, aveva preso forma nella mia mente.
Era necessario, in primo luogo, avvalermi della materia prima: il legno. Della tipologia di alcuni legni e della loro biodiversità, durante quei cinque anni di scuola, ne avevo acquisito non poca consapevo- lezza. Era essenziale, tuttavia, avvalermi di un tronco morbido, sfi- brato, senza nodi, quindi, ma soprattutto leggero. 

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Ciò ponderato, la mia scelta cadde su tre tipi di legni: il canfora, il tiglio e il massello di Balsa, ideale, questo, per il modellismo e gal- leggianti da pesca. Ma dove sarei andato a trovare un tronchetto, considerato che tutti e tre le specie sono degli alberi esotici dalle non ordinarie dimensioni. Mi attaccai ad un telefono pubblico e chiesi del mio maestro, don Totò Trazzera. Mi è doveroso avvalorare che mi diede ascolto con peculiare coinvolgimento chiedendo alcuni giorni di tempo.

Il raggiungimento di alcuni traguardi, avevano preso nella mia mente forma e determinazione. A parte quei possenti bombardieri americani e britannici che volando ad alta quota nei cieli di Palermo, seminavano distruzione e morte, io non avevo mai visto un aereo a distanza ravvi- cinata. Spinto da questo desiderio, non esitai a salire sui mezzi pub- blici e recarmi all’aeroporto civile Boccadifalco.

Il mio stato emotivo nel vedere un aereo della compagnia di bandiera LAI toccare la pista fu insostenibile, avvertii per tutto il corpo una vigorosa scarica di adrenalina, che mi diede la spinta giusta per sapere affrontare e raggiungere anche quello che mi sembrava impossibile. La sosta non si protrasse per le lunghe, giusto il tempo di scaricare bagagli e passeggeri, che ne imbarcò degli altri con destinazione Fiu- micino. Ma in fondo alla pista, proprio sotto i miei occhi, il coman- dante effettuò ciò che, sicuramente, era di comune routine: il corretto funzionamento dei flaps e del timone di coda. Ricevuto l’okay dalla torre di controllo prese il volo con la stessa eleganza di un gabbiano. Feci ritorno a casa avendo raggiunto uno degli obiettivi prestabilitomi: aspetto della fusoliera, l’attaccamento delle ali ad essa e lo snodo del timone di coda.
Alcuni giorni dopo, avvertito dal verduraio fornitore dell’istituto, presi contatto con il mio maestro. M’invitava a recarmi da Scannapieco, il maggiore fornitore di legnami esotici e chiedere del Signor Di Stefano  Il tempo è oro, non rimandare mai a domani ciò che potrebbe esser fatto oggi. Diceva spesso mia madre. Non esitai un solo istante ad incontrare la persona indicatami. In un angolo del magazzino giace- vano accatastati quattro tronchetti di legno balsa dalle dimensioni con- facenti le mie necessità. Fui invitato a sceglierne uno dando rilevante importanza alla loro decennale stagionatura.                          
    “Stanno messi lì da prima che scoppiasse la guerra, né gli ebanisti né i falegnami sanno che cosa farne, è un legno stupido, privo d'interesse, troppo leggero. A te a che cosa serve!?” Risposi che avevo in mente la concretizzazione di un progetto, costruire un aereo giocattolo e farlo volare senza motore. Rise di pancia, esclamando: “è pazzesco!“
Il giorno successivo, nella falegnameria di zio Ciccio Gargano, era stato spogliato dalla sua corteccia e ben sezionato. A conferma di quanto era stato detto dal signor Di Stefano - circa la decennale stagio- natura di quei tronchi di balsa - la segatura prodotta dalla sega a nastro aveva l'apparenza del borotalco: impalpabile. Sbozzai quelle parti che sarebbero divenute le ali e la fusoliera e mi accinsi a dar loro le ap- prossimative dimensioni stimate con quelle di un gabbiano. Il succes- sivo stratagemma fu quello di separare la fusoliera in due parti uguali e nella maniera in cui si taglia uno sfilatino al quale viene tolta la mollica, svuotai le due componenti limitando lo spessore della scocca non superiore ai tre millimetri. Lo soppesai con le mani e mi accorsi che la loro pesantezza non superava quello di un paio di pacchetti di sigarette. Ne gioii. Poi, allo scopo di evitare delle incrinature, centinai il loro interno con delle strisce di seta e incollai i due segmenti. Alcune ore dopo, tolti i morsetti lo mostrai a zio. Il quale dopo averlo girato ripetutamente fra le mani, esclamò: “lo hai svuotato per ren- derlo ancor più leggero, sei imprevedibile!!” Con il pialletto e la lima, prese le auspicate conformazioni. La costruzione delle ali, nella loro intera struttura, (unico pezzo) richiesero molto più tempo e impegno. Le parti soprastanti vennero predisposte un po’ convesse, mentre le parti sottostanti, per un principio di aerodinamica, appresa dal volo dei gabbiani, richiesero d’essere predisponete in forma concava. Nulla doveva essere sottovalutato. Fissai, provvisoriamente, con del cerotto le ali sotto la pancia della fusoliera e provai a lanciarlo ad altezza d’uomo. Il risultato fu non poco deludente. Scese in picchiata, ma ne compresi la ragione: le ali erano state collocate molto in punta alla fusoliera. Era indispensabile farle retrocedere, ma di quanti centime- tri!!! Tolsi l’adesivo e le arretrai di un paio di centimetri. Il secondo test mi stappò un sorriso. Di prove ne effettuai diverse, nell’ultima inserii anche le ali posteriori e il timone di coda, la gioia fu indescri- vibile: lo vidi planare sulle piantagioni di piselli come un autentico aereo.      
 Effettuai i dovuti incastri, ad asola, nella pancia della fusoliera, e bloccai le ali in maniera temporanea, indi caricai al 10% la potenza della molla e collocai il, già, velivolo sulla rampa di lancio. Con un colpo d’ascia troncai di netto il tirante di gomma e l’aereo si librò come sospinto da motori jet. Mi venne la voglia di mandare un urlo di gioia, ma la forte emozione mi consentì a malapena di deglutire. Volò con compostezza a circa tre metri dal suolo per poi planare non oltre 200 metri distante dalla base di lancio. Lo mostrai a zio Ciccio, senza avergli detto del test effettuato. Lo vidi sorridere compiaciuto. E men- tre me lo porgeva formulò questa domanda: “in una scala da uno a dieci, quante sono le probabilità che questo giocattolo possa volare?!” Dieci, risposi. “Pazzesco!!!” Aggiunse. Ma non seppi leggere nel suo pensiero se quel pazzesco era stato detto per la mia tracotanza, oppure per lo stupore di quel geniale giocattolo. Passai all’allestimento e lo dipinsi color bianco con la testa nera, come un vero gabbiano. Era stato levigato come un vetro. Ipotizzai che l’attrito con l’aria sarebbe stato alquanto limitato.
Era il tardo pomeriggio del 24 giugno. (lo ricordo perché lo associo al giorno del mio onomastico) Il cielo era in maggior parte terso, ma con delle nubi alte cirrostrati e una tenue brezza marina dava un certo refrigerio a quelle anziane donne che, avvolte nel loro scialle nero, ciarlavano a mezza voce standosene sedute sull’uscio delle loro case. Predisposi la rampa di lancio dando una ragguardevole inclinazione: un buon 20%, a mio avviso! Agganciai il duro elastico ad un incavo sottostante l’estremità della coda e, nel dargli un bacio sul muso, gli augurai buon viaggio, indi nella stessa maniera in cui erano stati eseguiti i test, troncai di netto il tirante. La spinta fu tale, che in meno di un secondo percorse quei quattro metri di pista, guadagnando sempre più quota. Non mi fu facile quantificare a che altezza stesse volando, ma sicuramente oltre i 200/250 metri. Presto mi resi conto d’aver perso il mio giocattolo. Era stato risucchiato da quelle masse d’aria, in movimento, meglio note come correnti ascensionali. Pochi minuti dopo quel puntino bianco divenne invisibile. Feci ritorno a casa con l’aspetto di un cani vastuniatu. Passando per il centro abitato, il vecchio Sant’Uffizio, le vecchiette mi salutavano dicendo: Giannuzzu! Pirchì fai sta faccia, oji è lu to’ santu, avissi a éssiri cuntentu…!!!                   
Non appena varcata la soglia di casa, trovai mia madre molto in pena e  senza aver risposto al mio saluto, esordì dicendo: “è venuto a cercarti il signor Di Marzo, ti sta aspettando a casa sua. Che cosa hai combi- nato!?” Nulla che abbia potuto offendere quell’anziano gentiluomo, le risposi. “Vai, renditi utile, lo sai che da quando ha perduto la moglie e rimasto solo come un cane!”
Stavo per bussare alla sua porta, quando la vidi schiudere, sicuramente mi aveva intravisto da una delle persiane retrostanti il cortile interno.
“Trasi, Giannuzzo!” disse, tendendomi la mano per la robusta stretta.
 Senza alcun indugio apri il discorso chiedendomi com’era andato il decollo del mio aereo.
La domanda non poco mi sorprese, come aveva fatto lui a sapere che circa un’ora prima io avevo lanciato il mio prototipo!, tuttavia gli risposi con verità, dicendo che il decollo si era svolto meglio del pre-visto, in compenso l’aereo era andato smarrito. “Seguimi!!” Aggiunse, con il sorriso sulle labbra di colui che la sapeva lunga.
Mi condusse dal lato posteriore dell’abitazione, laddove la moglie era solita sciorinare i panni, e sollevato il lembo d’un lenzuolo, disse: “ecco il tuo capolavoro!.” Giaceva penzoloni, con il muso incastrato fra gli intrecci di fili di una rete che delimitava la sua proprietà.        
Rimasi senza respiro, chiedendogli chiarimenti sul come, quando è perché la sua trasvolata era andata a concludersi proprio lì. Lo estrasse con molto garbo evitando scalfitture e m’invitò a sedere sotto quel patio, dando inizio alla sua rassicurante magniloquenza. 
E mentre con una mano lisciava il dorsale della fusoliera, sostenne che stava per stendere quei panni ad asciugare e con la coda dell’occhio vide la sagoma di un oggetto bianco prendere velocemente quota, la seguì ad occhio nudo fin quando decise di osservarlo con il binocolo. Un antico cimelio austriaco risalente al periodo bellico, tenne a pre- cisare. E mercé a questo strumento ebbe modo di osservare una strana manovra effettuata dal velivolo: una rapida variazione di rotta, che attribuì a due tipi di correnti d’aria che s’incontrano, detti per l’appun- to venti misti.
Il ponentino, originato dal calar del sole, aveva avuto il predominio sulla brezza marina, causandogli un netto mutamento di direzione.
Il resto era facile intuirlo. Scemato il vento di ponente, diede inizio alla discesa, terminando, qui, il suo volo inaugurale. Se non fosse stato per questa minima inclinazione data al timone di coda, chissà dove sarebbe andato a finire.                                                        5

Tirò le somme sostenendo che: “in linea d’aria si era allontanato per il diametro di circa un chilometro, il quale moltiplicato per 3,14, in poco meno di trenta minuti era riuscito a dar forma ad una rozza circonfe- renza non inferiore ai tre chilometri.” E mentre cadenzava la sua forbita maniera di esprimersi, altro non faceva che osservare la car-linga e la parte concava delle ali, ma soprattutto gli incastri ad asola praticati sulla fusoliera, tale tecnologia consentiva di estrarre le ali in qualunque stato di cose. Poi atteggiando la bocca verosimilmente a quella di una cernia, volendo manifestare stupore, metteva le mani ovunque: sul timone di direzione, sulla deriva, sugli stabilizzatori orizzontali ed altre componenti. Ma ciò che maggiormente lo sor- prendeva, in quello specifico caso, era che un ragazzetto di soli 15 anni, sfidando le leggi dell’aerodinamica e i suoi principi di sosten- tamento, era stato in grado di progettare, costruire e far volare un sì complesso capolavoro. Per concludere mi restituì il “giocattolo” escla- mando: “è semplicemente pazzesco!!! Se oggi non conoscessi un Dio adorerei questo aereo!”
                      Ad maiora.
                 (Gianni D’Amico)                                                                                                                                                 
                            


   

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