sabato 29 maggio 2010

"Welcome to Palermo, Sir!!"


.



Mancavano una manciata
di minuti alle ore 10.00
di quel tremendo venerdì
2 giugno del '44.

Il sole era alto e, sotto
i miei piedi nudi,
l'asfalto manifestava,
già, il suo arrogante
calore.


Io ero lì, e non per caso, mi ero recato alla "Taverna
del Tiro", grande spiazzo sterrato adibito ad autoparco
relativo alla VI Divisione Fanteria U.S.A. in forza a
Romagnolo.
Un sobborgo, questo, di tremila anime, situato a Nord-Est
del capoluogo siciliano. Ero andato a consegnare una divisa,
sulla quale erano state apportate determinate modifiche.
Questa uniforme, - guarnita di Alamari, Medaglie e Croce di
guerra al valor militare - faceva parte al corredo dell'Ufficiale
più alto in grado: il Colonnello George R. Pitcairn.
Feci in modo di prendere dei contatti con il mio "amico" sergente
maggiore Vincent Rizzuto, al quale consegnai il prezioso fagotto
ancora caldo dal ferro da stiro. Oggi lo definiremmo, senza alcun
dubbio, un eccellente lavoro sartoriale eseguito da mia madre.
Pochi minuti dopo fu di ritorno con una banconota fra le dita,
dicendo: «keep the change!!» Seguì, come di rito, un'affrettata
carezza sui miei capelli arruffati, resi verosimilmente biondi
dalla salsedine.
Ma prima d'allontanarmi misi a sicuro quel biglietto verde in una
tasca interna dei pantaloni, e continuai a bighellonare in giro
per alcuni minuti.
Quando fiutai nell'aria d'essere cercato con lo sguardo.
Seguì il solito gesto che m'invitava ad avvicinarmi.
Gli corsi incontro.

Avevo nove anni, e ribattezzato con il nick name little Johnny,ero divenuto la mascotte di quella caserma. Mi accostai a Vincent, e lo sentii parlottare affrettatamente con un suo commilitone: il caporale maggiore Jimmy Soldano.Entrambi proni sul cofano motore di una grossa "Jeep", studiavano una carta topografica della città, in cerca di una località da raggiungere, nota con il nome: "Settecannoli". Ma il percorso tracciato con il dito mignolo, era contestabilmente lungo.
Occorreva portarsi fino a Sant'Erasmo, oltre il ponte dell'Oreto,quindi, risalire per la Via Tirassegno, e riprendere la strada parallela alla Via Messina Marine, cioè il Corso dei Mille all’altezza del pastificio Virga.(per coloro i quali conoscono Palermo) Fu lì, che il sergente maggiore mi chiese:«Do you know any short cut, Johnny!» risposi loro, che percorrendo la Via Salvatore Cappello, stradina in terrabattuta che, a tuttoggi, costeggia l'antica chiesa San Giovanni dei Lebbrosi, a meno di un chilometro sarebbero stati in zona Settecannoli.

Il doversi recare d'urgenza in quel luogo, mi spiegò uno dei due,sarebbe stato utile a rifornire di carburante uno dei due grossi automezzi con a bordo 40 uomini che, provenienti d'Agrigento e diretti a Trapani, era rimasto inspiegabilmente in panne.

Accettato il mio suggerimento, in meno che si descriva, la grassa Jeep venne caricata con dei fusti contenenti del carburante per quei due Dodge canadesi, provvisti di motori con carburazione a benzina. Fui invitato a montare su di un terzo del sedile posteriore della Jeep, reso più alto da alcune taniche. Non esitai un solo istante a saltarci dentro e prendere posto. Non era la prima volta, d'altronde, e non sarebbe stata l'ultima.

. Il passaggio a livello che delimitava
. quell'area militare era aperto,poiché
. guasto, e un treno merci proveniente
. da Corleone carico di cereali e ovini,
. stava eseguendo lentamente lo scambio
. binari, ai fini di deporre le sue merci
nei dovuti silos e ovili, siti nella non lontana stazione.
Il caporale Soldano si era messo alla guida dell'automezzo, quando decise di dare gas al motore della sua Jeep, ed evitare l'attesa della manovra successiva che il ferroviere guardingo, e con il busto fuori dalla sua cabina, stava per effettuare.
A quel punto il pericolo divenne tangibile, e non seppi resistere di urlargli:
“Don't do it!!...”
A tuttoggi non riesco a rendermi conto cosa esattamente accadde, mi trovai sbalzato fuori dalla jeep, dolorante con il culo per terra.E a distanza di una decina di metri, inerte e con gli occhi sgranati, stetti ad osservare cosa stava per accadere.
Il robusto paraurti della locomotiva, agganciò la parte sinistra in basso della Jeep, facendole effettuare un testa-coda, e nel contempo schiacciò la tanica fissata alla Jeep, la quale detonò.
Tutto divenne fulmineo. Le fiamme si propagarono sugli altri 16 serbatoi, e accadde ciò che non avrei mai previsto. Ad alimentare maggiormente quell'inferno contribuì con certezza il carbone fossile stivato in basso al locomotore.Quando giunsero i Vigili del Fuoco, null'altro poterono fare che spegnere le ultime fiamme e spalare mucchi di ceneri fumanti.
Ma da quelle ceneri ridotte in fanghiglia nulla, ad eccezione di due carcasse di orologi da polso, emerse che potesse accertare la presenza di resti umani.
Terrorizzato mi nascosi fra la folla, e da lì – senza aver versato una lacrima – feci ritorno a casa.




Era trascorso oltre un ventennio, da quel fattaccio. Ottenni un impiego presso l'AVIS Rent-a-Car. Durante il periodo della bassa stagione turistica, prestavo servizio in aeroporto, addetto alla consegna, al ritiro e chiusura dei conteggi delle auto date in noleggio. Indossavo la mia divisa: pantaloni blu, giacca rossa e la patacca all'occhiello con il logo dell'azienda americana: WE TRY HARDER. Durante quei mesi, aprile-settembre, considerati alta stagione, venivo destinato ad altro servizio:
alla guida di pullman gran turismo con 54 posti, o di lussuose autovetture, accompagnavo dei gruppi, o singoli turisti, quasi sempre stranieri, in giro
per la Sicilia e il Continente.Era metà settembre del 1965. Il clima era ideale con temperatura gradevole; e lungo le strade statali di tutta la Regione il profumo dei gerani, delle ginestre, e degli oleandri in fiore, dava diletto al turista amante della storia e delle antichità del nostro paese. Quando Mr. Joe Arcidiacono, direttore della nota azienda, convocatomi nel suo ufficio mi affidò una copia di anziani turisti di nazionalità americana, dicendo:«Mettiti a disposizione di questa coppia VIP,lui è un Generale in pensione, dicono che sia molto esigente, prendi la nuova Mercedes con aria condizionata, chilometraggio illimitato, tempo illimitato.
E' la Richichi Travel Bureau, che fa esplicita richiesta di te.Fammi fare bella figura.»



Il foglio di servizio, firmato Vincenzo La Mattina, recitava: Full credit to Mrs. and Mr.George Richard Pitcairn, seguiva il nome dell'aeroporto, la data del loro arrivo e il numero di volo AZ proveniente da Roma. Il pomeriggio del giorno successivo, alle ore 18.00, diedi loro il "welcome to Palermo".Pochi minuti dopo fu lo stesso Mr. Pitcairn ad aprire lo sportello dell'auto alla propria moglie, acendola accomodare in quell'abitacolo che odorava di nuovo.
Mi ero presentato, ma ebbi il sentore che sapessero, già, il mio nome e cognome, e non appena ci fummo mossi, mi venne posta una inusuale domanda:

«Qual è quella cittadina che si scorge dall'alto, a stretto contatto con la pista di atterraggio?» risposi che si trattava di due cittadine separate dalla Strada Statale 113, distinte con i nomi Cìnisi e Terrasini.

«Oh!!!!!» esclamò lui, «I remember those little agricolture villages.»
Ebbi tutta l'impressione che il dialogo stesse per avere un seguito, e mentre Mrs. Pitcairn accendeva la sua seconda sigaretta, gli chiesi se avesse già messo piedi in Sicilia. «Yea, sure!!! I have been in Sicily quitea few times.»rispose lui con marcato accento del Mead West. E proseguì asserendo che, durante l'occupazione
delle truppe alleate, era stato un triennio in Sicilia, a capo della VI armata con i gradi di Colonnello, con dislocamento a Palermo, in zona "Romagh-nolo".
Un brivido gelido, sottile, come quello di vederti una scala reale all'Asso di cuori servita di mano, mi pervase il corpo rendendo la mia spina dorsale pressoché paralizzata.



Ma presto mi riebbi acchiappando la realtà con entrambe le mani, chiedendogli se ricordava quella collisione fra un treno merci e la Jeep americana con due uomini a bordo. Udii un silenzio religioso che durò un'eternità, che diede adito a pensare che
mi ero un po' troppo sbilanciato. Quando parlò la signora, dicendo:«John is talking to you, George!!»
Aprì ancora una volta bocca e con tono mesto vennero fuori due nomi:
«Vincent "Rissuro" and Jimmy "Soldeno". Poor guys!!»Fu la signora, ancora una volta, a parlare, sollevando la domanda:«How do you know that, John!?» Diedi chiarimenti, asserendo che proprio quel dì ero presente in loco per consegnare la divisa al colonnello. Lui scosse il capo ed annuì.



Frattanto eravamo giunti al Grand Hotel Villa Igiea, laddove la coppia era stata prenotata, Il giorno successivo volle recarsi sul luogo dell'incidente. Esisteva poco in verità, la strada ferrata era stata divelta.

Il tempo e l'incuria avevano fatto il resto per rendere l'ambiente pressoché irriconoscibile, ma sulla parete alle sue spalle si leggeva a malapena la dicitura "Military zone no trespassing". Lui, dando uno sguardo indagatore al fatiscente Palazzo Fileccia, focalizzò il punto esatto e parlò dello spiccato senso del dovere dei due graduati.
Non c'era nulla da eccepire circa i riflessi del caporale Soldano, la tempistica era il suo forte, ed era il più bravo stuntman dell'Esercito statunitense, istruttore di mezzi pesanti, e mai fatalista, aggiunse con un certo orgoglio.
L'errore era d'attribuirsi ad una strana coincidenza: nel momento in cui il caporale pigiò fortemente sull'acceleratore, per fare guizzare l'auto, le due ruote anteriori, dotate di trazione, si trovarono sulla coppia dei binari di scambio, ed avvenne lo
slittamento dei pneumatici, così la Jeep rimase inchiodata su se stessa. L'impatto fu minimo, come si rilevò dalle lamiere, ma sufficiente da comprimere il serbatoio, in dotazione all'auto, perennemente pieno. La scientifica deliberò che l'esplosione era stata causata dalla fuoriuscita di un frammento di carbone ardente caduto dalla vaporiera.

Si vociferò, anche, che a bordo della Jeep vi fosse un ragazzetto di circa 9 anni, ma nessuno potè confermarlo, e nessuna famiglia ne fece richiesta. Rimase un mistero ancora irrisolto!!

Allora mi accostai maggiormente a loro e, in tono minore, confermai la tesi dell'uomo, dando l’avallo che le due ruote anteriori avevano causato molto fumo e un forte stridore. Mi ascoltarono inebetiti, interrogandosi a vicenda con lo sguardo. Il mio stato emotivo divenne talmente elevato che ebbi la sensazione di trovarmi una seconda volta in quell'inferno.

Infine trovai la forza d'animo di dire: "il agazzetto chiamato little Johnny, che voi credeste arso vivo, è qui a discutere con Voi".«For heavens' sake!!...» esclamò l'anziana donna con entrambe le mani sulla bocca.«Oh my God!!..» aggiunse lui, provando a spingere dentro i suoi lucciconi. Quando posto il suo braccio destro sulla mia spalla, mi strinse fortemente a sé. Intensamente scossi e ammutoliti lasciammo quel luogo.



Di anni ne trascorsero tanti altri, ed ebbi modo d'incontrarlo un paio di volte a Roma.Nel 1978, facevo parte allo Staff dell'E.N.I.T. e fui inviato a Chicago per lavoro, durante un lungo weekend trascorso a Cleveland, (Ohio) in prossimità delle Cascate del Niagara, Kelly ed io, maturammo l'idea di fare una capatina a Cincinnati, antica residenza dei Pitcairn. Raggiunto l'esatto indirizzo, bussai al portone di quella grande casa, che per stile - ma in misure ridotte - dava una vaga idea del museo parigino "Le Louvre".

Fu il figlio, l'Avvocato George R. Pitcairn Junior, ad aprirci la porta. Ci ttendeva poiché l'avevo chiamato al telefono il giorno precedente.

Fu molto accogliente. Stringendoci la mano mi avvidi quanto caloroso era stato il benvenuto datoci.

Ci fece accomodare in un vasto salone e ciarlammo per un po'. Mi avvidi che sapeva tutto di me. Nondimeno mi promise che, quanto prima, si sarebbe recato presso la cineteca di Stato in cerca del cortometraggio che immortalava quei tragici momenti.


Indi mi diede l'amara conferma, che George Richard - omettendo il cognome e i vari titoli accademici e militari - era scomparso 8 giorni prima della mia visita, e non era il caso, precisò, che m'incontrassi con la vedova Pitcairn, poiché affetta dal
morbo di Alzheimer non mi avrebbe riconosciuto. Pochi minuti dopo ci accomiatammo.
Mi risedetti al posto di guida e, non mi vergogno a dirlo, 35 anni dopo, irruppi in un pianto dignitoso.


Circa un anno dopo, ricevetti una lettera con affrancatura assicurata, tramite la quale venivo informato che l'erede Pitcairn aveva preso visione di quel breve documentario. Tutto era tangibile, descriveva, il rogo in piena evoluzione, il sopraggiungere dei V.V.F., l'addensarsi della folla incuriosita, arginata dalle forze dell'ordine americane e italiane, la rimozione di mucchi di ceneri melmose, ma sullo sfondo sfocato nemmeno l'ombra di un ragazzetto di 9 anni che indossasse dei calzoni corti.

La lettera racchiudeva, inoltre, un assegno bancario non trasferibile di un certo "spessore", con le seguenti parole d'accompagno: "Mio caro amico, grazie per l'eccellente lavoro apportato al perfezionamento delle mie uniformi. Fare questo gesto era un mio recondito desiderio, ma purtroppo non ho fatto in tempo ad estinguere il debito"". All the best!!.
La lettera, invece, recava la firma di: George R. Pitcairn junior. Attorney Lawyer.

Questa cronistoria – non poco stringata – erompe da un sinistro realmente accaduto, romanzato forse al 10%. E alla salvaguardia della privacy di quella famiglia, ho preferito fare impiego di cognomi fittizi.

Cordialità, Gianni D’Amico



© Riproduzione riservata

2 commenti:

  1. Ciao Gianni,
    che bello: finalmente un blog tutto tuo con le tue opere! Congratulazioni e un grosso in bocca al lupo per ogni cosa!
    Regalaci sempre nuove emozioni.
    Un bacione.

    Ilaria

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  2. Pulito, realistico,elegante, coinvolgente.
    Congratulazioni Old Little John!!!!
    AD

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