Breve
prologo.
Avevamo preso il largo per una battuta di caccia al
tonno rosso.
Quando ci siamo visti accerchiati da un branco di delfini. All’inizio pensammo
che erano stati attratti dall’odore del cibo, Ma presto, attraverso le loro
vocalizzazioni, ci rendemmo conto che chiedevano aiuto. Non esitammo a seguirli,
e a debita distanza notammo uno strano luccichio: un cane di grossa taglia, da
circa otto ore, trainava qualcosa che ci lasciò senza fiato. Avvertita la capitaneria
di porto, ci venne subito incontro, ma per lo sfortunato, nulla si poté fare
per ridargli la vita Il resto lo saprete leggendo il mio racconto autobiogra- fico…
.
***
Amante della pesca subacquea, con muta ed erogatori
d’aria, era divenuta consuetudine, oramai, andare a trascorrere una settimana
di vacanza in compagnia della mia girl
friend, nelle acque pescose che bagnano l’Isola di Linosa. Ed è accaduto proprio nel ’62, che abbiamo consolidato stretta
amicizia con un pescatore del luogo. L’anziano Ingegnere scapolone, non più
operoso per raggiunti limiti di età, il quale aveva costruito con le sue mani
un’imbarcazione modello gozzo in frassino marino e con quello sfidava anche le
grosse mareggiate pur di mangiare il pescato del giorno. Mi risuonano, ancora,
alle orecchie le sue parole: “Bisogna dare sempre la prora al vento ricordalo, figliolo!...”
Ad anni pari, invece, era sua tradizione recasi negli
States, nello Stato della Louisiana, nella fattispecie, e bearsi della
vicinanza del fratello minore e di un imprecisato numero di nipoti. E per non
arrugginirsi, sosteneva, era di prassi dedicare lunghe giornate alla pesca.
Laddove si pesca alla grande o non si pesca…
“… Se un giorno doveste venire in America, veniteci a
trovare”. Aveva detto quella sera, mentre seduti in trattoria, - non curante
del rumore - succhiava la testa di quella orata cotta al sale…
Alcuni anni dopo, ottenuto un impiego con relativo
trasferimento in USA, siamo andati a trovarlo.
L’ospitalità dataci è stata imbarazzante, a dir poco…
Famiglia agiata quella americana, abitava nello Stato della Louisiana, a Port
Athur, nel Golfo del Messico, in un piccolo centro non molto distante da
Pasadena.
***
…Era la terza mattina consecutiva che, i miei amici
americani ed io, uscivamo per una battuta di pesca. Era l’alba di un fine
settimana di metà giugno degli anni ’70, ed erano circa le ore cinque.
C’eravamo staccati dal molo Sud Ovest di Port Arthur, e navigavamo, in
direzione Sud, a cavallo del 90° parallelo longitudinale di Greenwich.
Il mare sembrava una tavola. Calmo come l’olio! La
tipica bonazza, e quando si è fatto pieno giorno abbiamo notato che il cielo
era azzurro e libero da foschie, con temperatura poco superiore alla media
stagionale. Davo potenza ai motori e stavamo navigando a circa dieci nodi
l’ora, mentre da sottocoperta si percepiva già il piacevole profumo di uova al
bacon e caffè.
Quando abbiamo perduto di vista la terra, avevamo
navigato più o meno per 13 miglia, ho azzerato i motori e mi sono portato a
poppa.
Maureen, proprietaria della barca, moglie di uno di
loro, ad un tratto ci ha invitato a girare il collo e guardare in direzione
Sud-Est. Seguendo la sua imbeccata abbiamo notato con stupore un branco di
delfini dirigersi velocemente verso noi. Il gruppo nuotava velocissimo a pelo
d’acqua, con dei guizzi ritmici alti circa due metri: quello scenario non poco ci
ha incuriosito.
In un paio di minuti siamo stati attorniati da un imprecisato
numero di intelligenti mammiferi con i quali, inizialmente, abbiamo provato a
dividere la nostra colazione.
Ma è sembrato che non gradissero ciò che noi gli
stavamo offrendo, e continuavano a rimanere fuori dall’acqua in perfetta
verticalizzazione, emettendo dei suoni comunicativi, diversi nel volume e nella
durata, a noi non molto familiari, non erano gli stessi che spesso udiamo negli
acquari, via! Abbiamo pensato ch’erano stati attratti dall’odore del cibo,
invece dopo averli accarezzati e salutati, sono ripartiti nella direzione
medesima da dove erano venuti. Percorso meno di un miglio, e vedendoci ancora
fermi sul posto dove ci avevano incontrati, hanno fatto velocemente ritorno
verso di noi, circondando nuovamente la barca, sembrava quasi volessero
saltarvi dentro emettendo altre forme di vocalizzazioni.
A quel punto Maureen non ha avuto più dubbi; l’esperta
in materie ittiologiche ha chiarito subito l’enigma, spiegandoci che questi
mammiferi hanno diversificate vocalizzazioni, che rappresentano i loro modi di
comunicare, ma in quel caso era evidente il loro nervosismo poiché, oltre ad
urlare, sbattevano fortemente la coda emettendo vibrazioni dalle mascelle,
mentre quando sono contenti,..spiegò Maureen, lanciano una sorta di “cinguettio.” Il
branco ripartì, a gran velocità, verso la medesima rotta, e ci siamo resi conto
che c’invitavano a seguirli, ma nel raggio di alcune miglia, verso il mare
aperto, non si scorgeva anima viva .
Abbiamo lasciato perdere di far colazione e, dando
potenza ai motori, abbiamo seguito la loro scia. Secondo il solcometro di bordo
del nostro cabinato, stavamo navigando a oltre 25 nodi. Terry, una delle
signore, ci ha fatto notare un paio di delfini, che fiancheggiavano il natante,
erano più lenti. Guardando con la coda dell’occhio, mi sono accorto che erano
seguiti dai loro piccoli, ci è sembrato corretto diminuire la velocità, quando
a circa mezzo miglio, notiamo qualcosa che emetteva un intermittente luccichio.
Accorciate le distanze, scorgiamo una sagoma piatta
che avanzava verso di noi con un certo spostamento dell’acqua a tutti quanti
familiare, ad un tratto tutto è divenuto chiaro: un cane nuotava
affannosamente, trascinandosi dietro un uomo per il bracciale del suo orologio.
Giunto nelle nostre vicinanze, ha mollato la presa lasciandoci senza fiato.
L’uomo teneva legato al petto un neonato, inserito in
un marsupio porte-enfant. Essendo a dorso nudo e in pantaloni bermuda, non ho esitato
un solo istante a tuffarmi e andargli incontro. Sfibbiato il marsupio, e preso
in braccio il piccino, l’ho dato in mano a Maureen, la quale, stringendolo a
sé, ha dato inizio ad accurati massaggi in tutto il corpicino; mentre colui che
scrive si è dato all’inseguimento del cane, che aveva intrapreso la via di
ritorno.
“Ma per andar dove?” ci siamo chiesti tutti quanti.
Il bambino, sentendosi mosso, ha emesso dei vagiti ed
è stata una liberazione per tutti noi, il pigiama a tutina che indossava era
quasi asciutto, poiché il suo corpicino aveva galleggiato fuori la superficie
dell’acqua, e chi sa per quanto tempo! Con l’aiuto degli altri due uomini, abbiamo
issato a bordo il corpo inerte del trentenne, e abbiamo provato ad esercitare
un massaggio cardiaco, ma invano, si era subito notato che quel corpo aveva
raggiunto da un bel po’ il rigor mortis.
Frattanto imbarchiamo la bestiola: un meticcio a pelo corto, un probabile
incrocio fra un Labrador ed un Pit-bull, un cane dal torace possente e gli arti
muscolosi, sporco all’inverosimile.
Dopo aver caricato a bordo e ben rifocillato l’eroico
quadrupede, vediamo i delfini prendere il largo fra i loro lunghi e festanti
cinguettii.
La bestiola, dopo averci annusato uno per uno, è andata
a posizionarsi in punta alla prua, puntando lo sguardo laddove il cielo si
congiungeva con le acque dell’Oceano.
Abbiamo avuto la netta impressione che quel cane fosse
abituato alla vita di bordo. Terry si era accorta che dal suo collare pendeva
una piccola capsula di metallo, l’ha svitata e ne ha estratto fuori un
bigliettino, sul quale si leggeva a chiare lettere: Ashley. Crew of Delaware
ESSO tank oil.
Abbiamo virato di bordo, puntando a tutta potenza la
prua verso Port Arthur. Sentendo piangere di nuovo il bambino, ci siamo resi conto
che stava bene, ma aveva sicuramente fame. Avevamo dello zucchero giù in
cucina, nient’altro che questo per poterlo sfamare. Per iniziativa di Maureen, abbiamo
preso alcune zollette e una la volta le abbiamo inserito dentro un fazzoletto
pulito, imitando una sorta di primordiale ciucciotto, e dopo averlo
imbevuto d’acqua tiepida glielo abbiamo dato a ciucciare.
Dopo aver consumata la quinta o la sesta zolletta, ed
una giusta quantità di acqua, ha sorriso teneramente e stremato, forse dal
viaggio, ha preso sonno fra le braccia di Maureen, la quale, dopo averlo ben
lavato gli ha messo addosso un improvvisato pannolino, poi dopo averlo avvolto
in una coperta, lo ha lasciato riposare.
Di quanto accaduto era stata avvertita,
tempestivamente, la Guardia Costiera, la quale ha fatto in modo d’inviare
un’ambulanza all’imbarcadero. Al nostro arrivo, il medico ha riscontrato che il
bambino aveva non più di quattro mesi, lo ha trovato principalmente in ottimo
stato, ma un tantino disidratato, suggerendo il ricovero in ospedale per le
analisi di routine.
Più tardi, al crepuscolo, seduti in veranda di fronte
ad un calice di un bianco secco locale, ci siamo chiesto le ragioni di questo
inconcepibile dramma. Ma proprio allora qualcuno bussò alla porta... Era un
loro amico, Sceriffo Federale di quel luogo, in compagnia della propria moglie,
il quale dopo aver preso posto si è versato il suo buon calice di vino,
invitando gli astanti ad elevare i bicchieri, e dopo aver pronunciato il
fatidico “a saluti pir cent’anni”, ne
ha bevuto alcuni sorsi, si è schiarito la voce e, come da talk show, ha dato inizio al dibattito.
***
…Il cadavere dello sfortunato, era stato immediatamente
identificato dalla polizia di New Orleans, nella persona del titolare di un Super
Market, sposatosi con una delle sue commesse, il loro matrimonio “riparatore”
era naufragato pochi mesi dopo.
Dir si vuole, inoltre, che la prima furibonda lite - fra i giovani sposi - sia accaduta all’aeroporto, in partenza per la
sospirata luna di miele, mandando a ramengo il rituale viaggio.
A separazione avvenuta, il giudice aveva affidato il
neonato alla tutela della madre, a condizione che il genitore potesse tenerlo
un giorno a settimana: il sabato. Le acque si erano apparentemente quietate,
quando la genitrice, senza dir niente al papà del bambino, s’imbarca su di una
nave da crociera diretta alle Bahamas, laddove la donna era nata, sottraendo il
bambino all’ex marito per un fine settimana.
Ma “un’amica”, avendola vista salire a bordo, lo
avverte dell’iniziativa presa dalla giovane madre. Lui, temendo il rapimento
della propria creatura, fa giusto in tempo ad imbarcarsi, mentre la nave stava
per salpare, portando con sé un borsone con dentro ciò che gli era necessario.
Successivamente, presso il commissario di bordo, acquista un regolare biglietto
in cabina di lusso, così facendo dà la conferma di non essere uno squattrinato!
La stessa sera, mentre la moglie stava a cena, adducendo un pretesto
attendibile, fa in modo di farsi aprire la porta della cabina assegnata alla
propria moglie, e lì attende il suo arrivo. Pervaso dalla collera, non esita a
narcotizzarla facendo uso di un nebulizzatore. A notte fonda la imbavaglia
legandola immobile al letto e mette in atto il suo folle progetto. Prende il
piccino, lo avvolge in una coperta, lo insacca nel marsupio, affibbiandolo bene
a sé, ed eludendo la sorveglianza dei marinai di turno, si reca in veranda, che
a quell’ora sicuramente deserta. Attende il momento propizio e si cala in mare
con una lunga fune che teneva nascosta dentro il suo borsone.
Sicuramente aveva preso accordi con qualcuno, che con
una buona barca sarebbe andato a riprenderlo sottobordo! Ipotesi questa,
sostenuta dalla polizia e dalla guardia costiera! Era presumibilmente accaduto
che il padre rapitore del bambino, preso dal forte panico nel non aver visto il
soccorritore, per causa della forte emozione sia stato colto da malore, ed il
suo cuore abbia cessato di pompare.
Quella sera sulla stessa rotta − distante un’ora dalla
nave passeggeri − navigava una grossa petroliera della Standard Oil, salpata
dalle raffinerie di Baton Rouge, laddove aveva effettuato la sua sosta per
bunkeraggio, dirigendosi successivamente a Boston sulle coste atlantiche. Ed è lì
che, sicuramente, entra in azione quel coraggioso quadrupede. Avendo visto o
sentito qualcosa: forse il pianto del piccino, si è lanciato in mare, ed
afferrato l’uomo per la cinghia di metallo dell’orologio, incomincia a nuotare
verso la terra ferma.., quella che la petroliera aveva lasciata poche ore prima.
Fattosi giorno, entrano in azione i delfini. Si presume a lume di naso che la
bestiola abbia nuotato ininterrottamente per circa sette/otto ore.
Il seguito è facile intuirlo: il personale di servizio
deve, come tutte le mattine, governare le cabine, ed ecco che trova la donna
legata ed imbavagliata, la quale, dopo essere stata liberata, racconta
l’accaduto al commissario di bordo, che immediatamente diffonde la notizia via
radio alla più vicina guardia costiera.
Il resto è risaputo. Il bambino viene restituito alla
sua mamma e inizia la caccia all’uomo, orientata verso colui che avrebbe dovuto
incontrare in mare il folle “James Bond.” Identificato, più tardi, in uno dei
suoi migliori amici. Potenziale concorrente, titolare di un altro super
mercato, al quale il defunto padre del piccino aveva sottratto la ragazza
sposandola.
Questi gli dà ascolto, dicendogli che tutto era
facilmente realizzabile. Ma lo ha detto solo per fargli spregio e non
premeditando una vendetta, ha sostenuto successivamente in tribunale.
In realtà lo sciagurato aveva lasciato in mare padre e
figlio, rischiando di farli morire entrambi assiderati.
Il giudice ha preso in considerazione che il padre del
piccino era morto per arresto cardiaco, non per annegamento o assideramento, e ha
chiuso il processo infliggendogli sei anni di reclusione e lo sborso di
un’elevata cauzione. Inseguito si è appurato che il quadrupede era stato restituito
al legittimo padrone.
Infatti la guardia costiera ha avvertito il Comandante
della Delaware, chiedendo di rintracciare il marinaio che teneva in custodia il
cane Ashley. Il marinaio, nel viaggio successivo, è venuto a ritirarselo e in
presenza del Governatore dello stato della Louisiana, la bestiola è stata decorata
dallo stesso Governatore con una medaglia d’argento infilata al collare, e su
quel foglietto trovato rinchiuso nella capsula è stato aggiunto: National
Hero...
Ad maiora.
(Gianni D’Amico)
Dedicato a Te Lady Anne…